Il MAXXI - Museo nazionale delle Arti del XXI secolo è un museo d' arte contempornea inaugurato a Roma nel 2010, situato nel quartiere Flaminio, realizzato dall'architetta (sì, una donna) di origine iraniana Zaha Hadid.
Il museo è stato pensato come un campus culturale, un luogo pluridisciplinare destinato
alla sperimentazione e all’ innovazione nell' arte e nell' architettura.
Oltre a questo il museo è attorniato da uno spazio urbanisticamente integrato con l' ambiente cittadino circostante, per farne un luogo di ritrovo e di incontro vivibile e fruibile in un ambito di quartiere.
Nel MAXXI coesistono due istituzioni museali, il MAXXI arte e il MAXXI architettura, dotate di collezioni permanenti, che sono progressivamente arricchite attraverso
l’ acquisizione diretta di opere ed anche tramite progetti di committenza,
concorsi tematici, premi rivolti alle giovani generazioni, donazioni,
affidamenti.
Queste due sezioni ospitano anche esposizioni temporanee, che aggiungono dinamicità al progetto culturale.
Io ci sono stato per frequentare un corso di aggiornamento che si teneva nell' auditorium del museo, ma tra una sessione e l' altra ed evitando di essere troppo diligente nella frequenza, ho trovato il tempo per fare una breve visita alle esposizioni.
Ho visto delle installazioni sotto forma di video, una sezione dedicata a progetti di architettura realizzati mediante materiali di riciclo, un' estemporanea dedicata all' arte indiana contemporanea (molto bella, intitolata Indian Highways), una parte dedicata all' artista Marisa Merz, autrice che sviluppando esperienze dell' Arte Povera si esprime in equilibrio tra pittura e scultura, con l' utilizzo e la coesistenza di materiali vari, come la tela dipinta, l' argilla, il legno ed altro ancora
Per me che non sono un esperto, però la parte più bella e interesante della visita è stato il museo stesso, la sua architettura, il girovagare tra i suoi spazi suddivisi in cinque gallerie sviluppate su tanti piani differenti, collegati da rampe e scalinate ed affacciati con grandi vetrate sul quartiere romano circostante.
Ma per me "fotografo" il momento più suggestivo è stato entrare - all' ultimo piano - inoltrandomi progressivamente nel buio più fitto, la mano guidata da un corrimano provvidenziale per non perdere la giusta traccia, in uno spazio totalmente scuro, pareti e soffitto dipinti di nero: in alto, nella parete facente parte della facciata esterna del museo, solo una piccolissima apertura, una sorta di foro stenopeico.
Volgendo la sguardo sulla parete opposta ecco apparire magicamente l' immagine rovesciata del quartiere che circonda il museo, le sue architetture e strutture urbane, con una suggestione visiva poi ulteriormente potenziata dalla seconda riflessione dell' immagine - questa volta dunque diritta e non più rovesciata - sul pavimento dell' ambiente ricoperto da un velo d' acqua.
L' emozione dunque di trovarsi in una gigantesca "camera obscura", di ritrovare la vera origine embrionale della fotografia, la scoperta da cui tutto ha avuto iniizio: qui in una mirabile fusione di architettura e urbanistica (l' interno, l' esterno) con l' arte dell'immagine.
ecco una serie di venti immagini, esterno e interno alternati, realizzate con la funzionalissima piccola compatta di Fujifilm dall' aspetto retrò, da non farmi rimpiangere troppo di non aver portato la Leica con me, la X 10
domenica 29 gennaio 2012
mercoledì 25 gennaio 2012
memorie di carnia
quello che segue è il testo che ho scritto come presentazione della mostra fotografica che si è tenuta a Paluzza nell'agosto del 2010, dedicata alle mie fotografie nella splendida terra di Carnia
le immagini sono tante, una selezione di una frequentazione ultratrentennale di quelle valli,
da guardare un po' alla volta
le immagini sono tante, una selezione di una frequentazione ultratrentennale di quelle valli,
da guardare un po' alla volta
Medico di professione e fotografo per passione, ho iniziato a conoscere la Carnia nei lontani
anni ’70 del secolo passato.
Come spesso accade
per i veri grandi amori,
il mio innamoramento per la Carnia non è stato un colpo
di fulmine, scoccato all’ improvviso.
Piano piano, invece, a poco a poco ,
dalla conoscenza graduale di
questa terra e della sua gente è
nato un legame, un rapporto di profondo
affetto per questa regione così
particolare e la Carnia
mi è entrata nel cuore.
Altre località di montagna ben più famose e alla moda
catturano rapidamente il turista in
cerca di sensazioni di facile consumo,
di emozioni rapide e superficiali, da
prodotto usa-e-getta, da fast-food
delle vacanze. Grande ricettività e
impianti alberghieri, cime e piste dai
nomi famosi, strade a pedaggio, ticket
di entrata, patrimoni dell’umanità e
quant’altro escogitato dalla sapiente manipolazione dei gusti collettivi, omologazione verso una tendenza globalizzante
con il rischio della perdita delle
identità specifiche dei territori.
In Carnia ho scoperto all'opposto la diversità, anche nel moderno e necessario processo di sviluppo economico e
di sfruttamento turistico delle sue
bellezze ho trovato una
regione che si offre al viaggiatore
interessato ad esperienze più profonde piuttosto che al
turista mordi e fuggi, un mondo che ha saputo conservare il suo
carattere specifico pur senza chiudersi nei confronti
dell’esterno.
La fotografia per me è un mezzo per fissare l’attenzione sulla realtà, per
analizzarla e per iniziare poi un processo di memoria, processo mio, personale, ma che poi mi consente di trasmettere a chi guarda le mie immagini la mia interpretazione, la mia memoria.
Ciò che nel corso
degli anni ho cercato di fissare col mio
obiettivo sono la bellezza, l’ originalità e la peculiare fusione
che in Carnia lega lo scenario naturale
con l’ architettura abitativa o rurale e
con gli altri sedimenti e
segni della presenza umana
in questi paesaggi a volte dolci,
a tratti aspri, in un tutt’ uno
di natura e tradizione. Come un
continuum tra umanità, cultura e
territorio.
In queste immagini non vedrete i colori, i verdi variegati dei sui boschi e
dei suoi pascoli, i blu intensi dei suoi cieli, i rossi aranciati dei suoi autunni, la caleidoscopica varietà cromatica dei
prati in fiore della Carnia,
l’azzurro degli occhi o il biondo dei capelli dei suoi bambini.
Ho scelto invece il
bianco e nero, perché per me rappresenta un mezzo espressivo che va oltre l’immediatezza del primo sguardo
e mi sembra racconti più in profondità
la realtà, come scavando più a fondo nei rapporti tra gli spazi, i
volumi, le luci e le ombre. Mi sembra con il bianco e nero di avvicinarmi di
più all’essenza e all’anima delle cose.
Con il mio sguardo inizialmente di straniero ho cercato di fissare in queste mie memorie
di Carnia quelle peculiarità che tanto
mi hanno affascinato di questa terra di
montagna così singolare e diversa dalle altre
regioni alpine, quei caratteri che
rendono la Carnia
immediatamente riconoscibile all’osservatore
per i suoi aspetti di cultura e di
simbiosi tra uomo e natura.
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